Immaginate una società di individui, curiosi e tolleranti. Immaginate infinite identità diverse, tutte impegnate in una costante ricerca di un nuovo capitolo da aggiungere alla propria storia. Tutte ugualmente degne di ricercare la felicità, come scrissero i padri fondatori degli Stati Uniti. Non vi sembra un buon ideale cui dedicarsi, anima e corpo?

Non mi é accaduto, e questa la considero la più grande fortuna della mia vita, di seguire quella famosa legge per cui si è rivoluzionari a diciotto anni, poi si diventa via via liberali, conservatori e reazionari. Io conservo i miei ideali di allora.

Enrico Berlinguer

Poco tempo fa ho partecipato a un incontro, organizzato da FutureDem, in cui erano stati invitati a parlare l’arcivescovo Zuppi e l’onorevole De Maria. L’incontro verteva sul rapporto tra identità e integrazione, e su come esse possono coesistere in un’epoca in cui i legami sociali non sembrano godere di ottima salute. Infatti la società descritta dai media appare sempre più individualizzata, incerta e vulnerabile; per dirla con Bauman, liquida. La liquidità coinvolge tutto il mondo occidentale, anche se i soggetti in essa più invischiati sono i giovani. Essi rappresentano la categoria pienamente immersa in una realtà distopica: disgregazione dei punti di riferimento, incertezza e precarietà nel mondo del lavoro, blackout dell’ascensore sociale. Chi vuole ragionare sulla società deve cercare di orientarsi in questo contesto. Il mio tentativo parte dalla citazione di apertura, ricordata dal parlamentare bolognese nel corso dell’incontro. La frase è tratta da una tribuna politica dei primi anni 80: il segretario del PCI, in quella occasione, si dichiarava fortunato a non avere mai perso la passione che lo aveva spinto alla vita politica e a una militanza tanto lunga nello stesso partito. Berlinguer appartiene ormai a un’epoca lontana, in cui il sentimento di appartenenza partitica ricopriva un ruolo fondamentale nell’esistenza delle persone. Interrogarsi sulla propria ragione d’essere e sugli obiettivi cui dedicarsi, come singolo e come gruppo nel quale ci si riconosceva, era un’esigenza comune. Oggi questa dimensione non costituisce più la norma. Alla partecipazione politica si è sostituita la libertà negativa -la “libertà da”- e all’affollamento dello spazio pubblico si contrappone l’invasione di questa sfera ad opera del privato. Ovviamente non sarebbe giusto fare di tutta l’erba un fascio e, se le iscrizioni ai partiti sono diminuite ovunque negli stati europei negli ultimi decenni, i dati relativi all’associazionismo e ad altre forme di militanza sono decisamente più positivi. Ma se guardiamo alla relazione individuo-società, credo si debba ammettere quantomeno una qualche forma di deficienza per quanto riguarda l’interesse e la fiducia verso il “sistema” e nella propria incisività sullo stesso. Ad essere cambiato negli ultimi decenni è, assieme all’atteggiamento verso i partiti, quello relativo all’informazione: i quotidiani continuano inesorabilmente a perdere lettori. Qualcuno potrebbe obiettare che si trova tutto su internet, ci sono i social network ecc ecc. Ma la verità è che il tempo e la qualità della lettura online sono distanti da quelli richiesti da un’analisi approfondita, tipica della (vecchia?) carta stampata. Viviamo in un’epoca frenetica, in cui le azioni quotidiane rispondono ai parametri della velocità e della superficialità. Non a caso, il verbo che descrive il nostro rapporto con la rete è “navigare”. In ogni caso, già un secolo fa il giornalista Walter Lippmann si era reso perfettamente conto che a una maggiore velocità corrisponde una minore attenzione. Nel suo saggio “L’Opinione Pubblica” egli descrive la discrasia che si viene a creare tra la caoticità del vivere quotidiano e la serenità di cui ha bisogno un’attenta lettura degli avvenimenti. Scrive Lippmann: “Ci interessiamo degli affari pubblici, ma siamo immersi nei nostri affari privati. Il tempo e l’attenzione che possiamo dedicare alla fatica di non accettare ad occhi chiusi le opinioni sono limitati, e siamo soggetti a continue interruzioni.”. Se riportiamo il pensiero del giornalista americano al nostro secolo, all’era sempre più complessa e frenetica dei social network, les jeux sont faits. La distanza tra informazione e cittadini aumenta, come aumentano i problemi e le tematiche su cui un buon cittadino dovrebbe sapere costruire un’opinione. E i partiti, che per tutta la storia repubblicana hanno rappresentato la scuola di formazione dei cittadini, sono in una crisi di difficile, se non impossibile, via di uscita. Come si collega tutto ciò alla citazione di apertura? Il nesso c’è, e lo metto subito a fuoco: senza le risorse opportune per plasmare un’idea sul mondo, possono esistere gli ideali? Può una generazione liquida immaginare un orizzonte comune? Ho trovato interessante, a questo proposito, una riflessione di Alain Touraine sui cambiamenti avvenuti nel mondo della scuola. In diversi saggi -più e meno recenti- il sociologo francese afferma che: “la scuola è diventata il luogo della individualizzazione, del riconoscimento delle differenze.” La scuola costituisce il luogo dello sviluppo delle differenze individuali, il luogo in cui la personalità e l’identità del singolo devono potere emergere grazie al lavoro degli insegnanti. Questo significa che, con la globalizzazione, la società del futuro prende forma in una sorta di arcipelago socio-culturale. Se siamo individui diversi con idee e aspirazioni diverse, ha ancora senso parlare di “interesse collettivo”? E se davvero esistesse qualcosa del genere, chi mai potrebbe riconoscerlo? Difficile dare una risposta, facile individuare i possibili rischi. Perlomeno i due più pericolosi. Il primo consiste nell’abbandono alla sfera privata, nella rinuncia alla ricerca di un senso che superi l’identità individuale. Il secondo consiste nell’opposto, ovvero nella radicalizzazione dell’individuo che, in cerca di identità, ha trovato in un’ideologia totalizzante la propria ragione di vita. Questa possibilità è ovviamente più inquietante rispetto alla prima, in particolare in un mondo connesso, dove tutto è alla portata di tutti, dal “Blue Whale” al terrorismo jihadista. Alla luce delle degenerazioni appena descritte, forse si fa ancora fatica a intravedere un filo comune ma, se non altro, dovrebbero essere molto chiare le alternative da evitare.

Riassunto della prima puntata: processi di individualizzazione, abbandono della sfera pubblica, frantumazione dell’interesse collettivo. Potenziali derive: individualismo assoluto, radicalizzazione ideologica. Ripartirei proprio da qui per cominciare a disegnare il profilo di un orizzonte plausibile. Un orizzonte liquido, pertanto intrinsecamente incerto. Ma nel quale si può e si deve riporre fiducia, perché la liquidità nasconde certamente insidie, ma anche opportunità. Si tratta semplicemente di fermarsi un attimo e riflettere sul nostro tempo, e di capire come sfruttare le possibilità che ci vengono offerte nella società odierna. La mia riflessione si concentra sul primo ambiente in cui viene modellato il senso individuale: la scuola. Il mio è un invito, forse, più che una riflessione; lascio giudicare a voi. Touraine sostiene che la scuola deve puntare sull’individuo e che il percorso di formazione deve essere elaborato sulle esigenze dei ragazzi. Ognuno ha esigenze e storie diverse alle spalle, soprattutto nella scuola pubblica primaria, dove il livello di eterogeneità culturale è molto alto. Dunque fin dalla più tenera età le nuove generazioni sono abituate a vivere in un contesto molto differenziato; tra i banchi comincia la loro scoperta del mondo e della diversità. Va da sé che il primo valore fondamentale da trasmettere ai giovani non può non essere la tolleranza, elemento imprescindibile in un’interazione quotidiana con la diversità. E perché questa costituisca una vera occasione di crescita, alla tolleranza deve accompagnarsi la curiosità, motore della comprensione degli altri e della ricerca di identità personale. Badate bene, sembrano due cose scontate, ma in realtà non lo sono affatto. Sono talmente poco scontate che, se lasciamo il mondo della scuola e ci avventuriamo in quello della politica, scopriamo che esse costituiscono il terreno di uno degli scontri principali tra le forze dei vari paesi europei. Se mi passate la sintesi giornalistica, socialdem./liberali e sovranisti si giocano buona parte dei voti dell’elettorato proprio sul dibattito società aperta-società chiusa. E, fateci caso, curiosità e tolleranza sono precisamente gli antidoti alle due derive della nostra epoca descritte in precedenza. Ora si tratta di chiudere il cerchio. Ho iniziato il mio articolo con una citazione di Berlinguer, con un richiamo all’importanza di mantenere fede agli ideali della propria giovinezza. Berlinguer non c’è più, il mondo di Berlinguer è alle nostre spalle. Le ideologie novecentesche sono tramontate tanto tempo fa, addirittura prima della scadenza naturale del secolo. Un peccato? Forse. Ma anche un’opportunità. La modernità pesante, quella delle ideologie, aveva pregi e difetti. Da un lato esigeva la partecipazione del singolo, dall’altro lo costringeva a una stabilità forzata nei suoi canali di partecipazione. Veniva garantita una presa di posizione continua sui temi del dibattito pubblico, ma essa proveniva -se non completamente, almeno in buona parte- dalle fonti di indottrinamento tipiche di quella fase (stampa, partiti). Ciò che intendo dire è che se vi era una maggiore capacità critica, essa non poteva dirsi totalmente spontanea. Detto questo, oggi la situazione è cambiata. L’individuo non si definisce più in base alla propria classe sociale o al partito di appartenenza; egli si sposta in continuazione da un sistema passante di significato* a un altro, siano essi dettati da tutte le ragioni del mondo. Il punto è che il movimento continuo genera ipotesi illimitate, alimentate dalla presenza di una fonte di conoscenza altrettanto sconfinata, il web. Non vedete l’orizzonte comune? Immaginate una società di individui, curiosi e tolleranti. Immaginate infinite identità diverse, tutte impegnate in una costante ricerca di un nuovo capitolo da aggiungere alla propria storia. Tutte ugualmente degne di ricercare la felicità, come scrissero i padri fondatori degli Stati Uniti. Non vi sembra un buon ideale cui dedicarsi, anima e corpo? Tolleranza e curiosità non rappresentano unicamente dei valori di fondo: rappresentano degli ideali per i quali vale la pena battersi, per i quali bisogna mettersi in moto quando si ha la percezione che vengano negati da qualcun altro. Il sistema scolastico deve educare in questa direzione le nuove leve, spingendole a un interesse sincero per le cose del mondo. Uno sforzo tanto grande quanto indispensabile, che passa necessariamente attraverso l’avvicinamento all’informazione e alla sfera pubblica, arene privilegiate del gioco e tele su cui acquerellare gli orizzonti futuri.

*il concetto è rubato dai I Barbari di Baricco

L’autore

Alberto Pedrielli, Bologna Office at Making Europe Again.